Nicolò Sperandei dice la sua in merito al Festival di Sanremo appena concluso
Lo scorso anno il complesso de Lo Stato Sociale declamava i versi “Niente nuovo che avanza”: invece, un anno dopo esatto, il “nuovo che avanza” è arrivato e si chiama Mahmood. È lui con il brano Soldi ad aver vinto la LXIX edizione del Festival della Canzone Italiana di Sanremo 2019. Un brano fresco, vivace che invita a partecipare alla sua esecuzione battendo le mani come richiesto durante il ritornello. C’è poi da aggiungere che sembra rap, ma a tutti gli effetti non lo è. Da sottolineare infine che nel testo l’artista va forse a raccontare se stesso, parlando di una ipotetica figura paterna (la sua stessa?) e del rapporto di quest’ultima con i Soldi che potrebbe pretendere da un figlio ormai diventato famoso. È il secondo brano in gara a Sanremo sinora ad avere presenti all’interno del testo delle parole in lingua araba: il primo era stato Pioverà (Habibi ené) presentato da Peppino Di Capri al Festival del 2002. Mahmood, uno dei due vincitori di Sanremo Giovani 2018 (l’altro era Einar), va a battere il superfavorito della vigilia Ultimo, presentatosi con il brano I tuoi particolari, venendo quindi quest’ultimo “bruciato” dalle solite voci, come accadde a Mia Martini nel 1992 (seconda in classifica con Gli uomini non cambiano). Il cantante romano si accaparra comunque gli esiti del televoto: per gli spettatori a casa, e quindi presumibilmente anche per gli aviglianesi, Ultimo è il vincitore con il 46,50% delle preferenze, seguito da Il Volo (39,40%) e poi da Mahmood (14,10%). Il televoto rappresenta però solo il 50% del voto finale, al quale si devono aggiungere anche le preferenze della Sala Stampa (30%) e della Giuria degli Esperti (20%). Dopo aver fatto i doverosi complimenti a Mahmood, ci sono da approfondire diverse cose su questo Festival di Sanremo, il quale ci ha regalato diversi spunti sui quali riflettere. Come mio solito, andrò rigorosamente per punti:
- La melodia italiana continua ad attirare ed a non morire mai ed il terzo posto de Il Volo ne è la plateale dimostrazione, sebbene il trio abbia portato al Festival un brano non indimenticabile ma allo stesso tempo molto furbo, avendo in sé presenti molti rimandi e molti echi a quella Grande amore che aveva vinto nel 2015. Da Grazie dei fiori passando per Non pensare a me sino a Musica che resta, la melodia all’italiana sembra essere una costante imprescindibile ed ineliminabile del Festival;
- Il passato riemerge sempre ed è impossibile nasconderlo: giustificabili così le presenze di “vedette” storiche come Patty Pravo e Loredana Bertè, con quest’ultima che ha portato al Festival un brano molto rock ed interpretato con eccezionale grinta, anche se queste caratteristiche non sono bastate per issarlo sul podio. Da sottolineare poi il ritorno dopo nove anni di Nino D’Angelo, il quale sceglie per sé e Livio Cori un brano tutt’altro che facile, giocato su una complessa esecuzione a due e sulla presenza del vernacolo partenopeo. Come prevedibile già dall’inizio, per entrambi non poteva esserci che l’ultima posizione. Sanremo rimane comunque un palcoscenico di eccellente visibilità anche per queste “glorie” della canzone italiana, le quali fondano ormai la loro carriera attuale più sul passato che sul presente;
- Al passato si contrappone però il nuovo e non ce n’è nemmeno poco: Achille Lauro, Briga, Ghemon, Irama, Mahomood, Federica Carta e Shade. Tutti si saranno domandati, almeno una volta nel corso del festival: “Ma questo chi è?”, non neghiamolo. Gli artisti in questione cercano di proporre qualcosa di nuovo dal punto di vista del sound, facendo affidamento più su suoni artificiali che su quelli prodotti da una vera orchestra. Il pubblico più giovane è con loro; vedremo quello che sapranno combinare. Aggiungo: indecente la polemica scatenata da Striscia la Notizia per il brano di Achille Lauro (Rolls Royce);
- È possibile archiviare definitivamente il cosiddetto “riflusso nel privato”? Per il sottoscritto sì. Il tema sociale è ritornato in auge e basta vederlo dalle canzoni presentate da Motta (Dov’è l’Italia), dai Negrita (I ragazzi stanno bene), da Daniele Silvestri (Argentovivo), da Irama (La ragazza con il cuore di latta) e dai The Zen Circus (L’amore è una dittatura). Non è un caso che il premio della critica sia stato vinto da Daniele Silvestri, il quale ha saputo ottimamente fotografare un problema lasciato ai margini della società come quello dei riformatori (o carceri minorili) e dei ragazzi in essi rinchiusi. Versi di grande qualità per parlare di tematiche ad oggi molto sentite come l’immigrazione oppure di un tema molto grave come gli abusi avvenuti all’interno della propria famiglia;
Tutto il resto non menzionato? Nella media. Media dalla quale vanno esclusi il delicato e commovente testo di Simone Cristicchi (Abbi cura di me) e la strepitosa voce di Arisa (Mi sento bene), quest’ultima bloccata e stroncata solo da una febbre altissima durante la serata finale. Bello anche il tentativo di raccontare se stessi ed un lutto vissuto in prima persona (Enrico Nigiotti con Nonno Hollywood), ma si deve avere il coraggio di farlo usando parole meno consunte e banali. Chiudo la mia disamina con una domanda: tornerà Baglioni? Chi lo sa. C’è da dire, oggettivamente, che lo show è stato più fiacco dello scorso anno ed il miglioramento atteso di serata in serata non vi è stato. Se la qualità delle canzoni è stata di certo la più elevata negli ultimi dieci anni, la stessa cosa non si può dire della parte televisiva, nettamente battuta dal quasi “capolavoro” dello scorso anno. Promossa a pieni voti, comunque, Virginia Raffaele, la quale ha pienamente dimostrato di non essere solamente un’imitatrice. Alla fine di tutto quelli che parlano sono gli ascolti e quelli sono oggettivi. Non c’è santo che tenga, nemmeno San Remo.