7 febbraio 2020 – Il Festival di Sanremo, ormai da anni (per lo meno dal 1976), non è più solamente una vetrina di sole canzoni in gara, ma è fatto anche di ospiti cantanti, attori, promozioni, cinema e tanto altro. Il fattore sorpresa o novità, poi, può non essere solo negli ospiti della serata, ma anche nei conduttori della kermesse canora stessa. Pierfrancesco Favino, ad esempio, ci aveva estremamente stupito due anni fa con il monologo tratto da “La notte poco prima della foresta” di Bernard-Marie Koltès. Quest’anno è stata invece la volta della giornalista Rula Jebreal, la quale ha parlato di un tema molto caldo in questi giorni e da troppo tempo: la violenza sulle donne.
Scena Il monologo della giornalista di origine israeliana è iniziato con la presenza, di grosso impatti scenico, di due enormi tomi posti su altrettanti leggii: uno di colore nero ed uno di colore bianco. Nel libro nero venivano riportate le frasi e le domande che non andrebbero mai dette ad alcuna donna, mente in quello bianco quelle che tutti dovrebbero sempre rivolgerle. Il grande stupore sta nel fatto che alcune delle frasi riportate nel libro nero sono delle reali domane estratte da interrogatori posti a donne vittime di abusi sessuali, fra le quali emergono i quesiti “Lei aveva la biancheria intima quella sera?” e “Lei trova sexy gli uomini che indossano i jeans?”.
La colpa fu L’atto della Jebreal è chiaro: la società, sebbene condanni unanimemente il carnefice, a volte trova la colpa anche nella donna, rea (forse) di aver provocato l’uomo con degli atteggiamenti ambigui. La colpa della donna è quella di essere troppo bella, di essersi vestita in maniera provocante, di essere tornata a casa tardi la sera oppure di essere andata da sola (nel 2020!) in giro per alcune zone malfamate di una grande città, come se la libertà di camminare fosse ad appannaggio del solo genere maschile. La colpa, se accade qualcosa, ricade anche su di lei: perché a quell’ora non era casa? Perché non si era fatta accompagnare da un uomo che poteva proteggerla? La colpa sta anche del denunciare il fatto: denuncio subito? “Avresti potuto aspettare qualche giorno, non hai alcuna prova in mano…”. Denuncio tardi? “Avresti dovuto farlo prima”. La donna sbaglia, sempre.
Una storia La Jebreal ha poi raccontato anche la sua storia, nella quale, purtroppo, gli abusi c’entrano. Sua madre, infatti, morì suicida nel 1978 non riuscendo più a sopportare il peso delle violenze subite durante l’infanzia. Una storia che accomuna la madre della giornalista a molte altre donne che non hanno potuto o voluto denunciare i fatti loro accaduti. Solo la scorsa settimana (27 gennaio/2 febbraio, ndr) sono state uccise in Italia sei donne. Nell’80 % dei casi di omicidio di donne, poi, il carnefice non ha nemmeno bisogno di dover bussare alla porta di casa, in quanto ne ha le chiavi.
Il cambiamento passa da tutti, ma prima da noi E per noi intendo noi uomini. La Jebreal ha fatto ben notare come i brani tratti dal libro bianco fossero tutti pezzi scritti da uomini (La cura, La donna cannone, Sally, C’è tempo) e “che è quindi possibile raccontare l’amore, l’affetto, il rispetto e la cura”. Il primo cambiamento deve passare da noi uomini e dai gesti di tutti i giorni, cercando di ribaltare la convenzionalità nella divisione societaria che si è venuta a creare in anni e anni di umanità. Perché il calcio deve essere reputato uno sport solamente maschile, mentre la danza è riservata principalmente alle donne? Imposizioni di costume create principalmente dalle nostre menti che non riescono a guardare oltre, già a partire da un paio di pantaloni mascolini indossati, per sua scelta, da una donna. E l’appello agli uomini arriva dalla stessa Jebreal: “Lasciateci essere quello che siamo e quello che vogliamo essere”. Una donna, per sua scelta, può essere in carriera o casalinga. Ma per sua scelta. Le parole con cui la giornalista chiude il suo intenso monologo non possono che generare dubbi e speranze:
“Domani chiedetevi com’erano vestite le conduttrici di Sanremo. Chiedetevi pure com’era vestita le Jebreal. Che non si chieda mai più ad una donna che è stata stuprata, com’era vestita lei quella notte. Che non si chieda mai più! […] Noi donne vogliamo essere libere, nello spazio, nel tempo. Vogliamo essere silenzi, rumore. Vogliamo essere proprio questo: musica”
Destabilizzante.
Musica musica Un brano di spessore, femminista, va a sottolineare l’importanza dell’argomento in questione, il quale dovrà essere riaffrontato dallo Stato per poter emettere una legge più attenta e severa per la protezione delle donne vittime di abusi e di stalinkg. Si tratta di “La donna quando pensa”, in gara al Festival di Sanremo 1974 ed interpretato da Paola Musiani. Una stupenda canzone che, purtroppo, non giunse nemmeno alla serata finale, venendo eliminata venerdì 8 marzo 1974 (la sera della festa della donna, fra l’altro). L’arrangiamento e la direzione orchestrale sono curate dal Maestro Sandro Toscani.